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Shopping low cost: i vestiti economici sono convenienti?

Shopping low-cost e fast fashion: le nostre riflessioni

A quanti è capitato di preferire una maglietta di un brand più economico, piuttosto di una più costosa? Quante volte ci siamo posti/e la domanda “perché spendere 60€ per un paio di jeans quando posso spendere meno della metà?”

Almeno che una persona non abbia mai avuto problemi economici o sia stata cresciuta con una consapevolezza sull’argomento, difficilmente non è caduta in tentazione, evitando di comprare bei vestiti a pochi soldi.

Si chiama shopping low cost, ed è una prerogativa della fast fashion. Se però i bassi costi convengono (apparentemente) alle tue tasche, si può dire che questi vestiti economici sono davvero convenienti?

In questo articolo offriamo alcuni spunti di riflessione. 

Shopping low cost: che cos’è?

Procediamo per gradi: cosa significano fast fashion e shopping low cost?

La fast fashion è quella collezione di moda che viene progettata e prodotta in modo veloce ed economico. La rapidità è fondamentale: solo così il consumatore potrà acquistare i capi d’abbigliamento ad un prezzo molto basso e accessibile.

Il termine risale dal finire degli anni ‘80, quando una nota testata giornalistica statunitense, la New York Times, riportò in un suo articolo che, in media, dalla progettazione di un vestito alla vendita in negozio, i produttori nella fast fashion impiegano circa 15 giorni. 

Come è possibile una tale velocità? In genere, una velocità di produzione simile, non richiede anche un costo maggiore?

Ebbene, il tutto è giustificato da questi elementi fondamentali:

  • sfruttamento dei lavoratori dietro la filiera tessile (pessime condizioni di lavoro e stipendio basso)
  • utilizzo di materie prime di pessima qualità (pertanto meno costose)

I problemi della fast fashion

La rivista Forbes ha individuato 3 macro problematiche della fast fashion:

  1. salari bassi e pessime condizioni dei lavoratori
  2. materiali scadenti e inquinamento da poliestere
  3. più vestiti = più rifiuti

È facile intuire l’effetto domino che queste componenti hanno sull’ambiente e sulle persone.

Le condizioni di lavoro inadeguate e il salario basso, porta ad un impoverimento sempre più profondo di quei paesi del Terzo Mondo, già di per sé svantaggiati. Si va dunque ad incentivare un sistema che vuole i paesi poveri, sempre più poveri, e i paesi ricchi, sempre più ricchi.

Come dicevamo all’inizio, per poter vendere i vestiti a basso costo, non è possibile produrli con materiale che richiede grandi costi di produzione (un esempio è il cotone biologico).

Per questo, vengono privilegiati materiali sintetici, nelle etichette “poliestere”. 

Il poliestere deriva dal petrolio (risorsa non rinnovabile che tra l’altro, per essere estratta, vengono sfruttati paesi in condizioni di povertà) pertanto è plastica a tutti gli effetti. Il problema “principale” dei vestiti in poliestere è che durano poco. Il loro ciclo di vita è corto, in media dura una stagione.

O si rompono, sbiadiscono, si rovinano (e dunque vogliamo sostituirli) o li scartiamo a priori perché troviamo di meglio, sempre a basso costo. Viviamo in una società basata sul consumismo, dove viene applicata l’economia industriale piuttosto che quella circolare. 

Nell’economia industriale esiste quella strategia, chiamata obsolescenza programmata, per cui si stabilisce fin dal principio la durata di un prodotto, in modo che il consumatore sia costretto a comprare nuovamente. L’esempio più lampante è lo smartphone, sottoposto a continui aggiornamenti fino a diventare troppo vecchio e destinato a smettere di funzionare dopo una media di 3 anni.

Ma torniamo al poliestere. È altamente inquinante, ma è anche vero che a differenza di qualche anno fa, molti produttori cercano di applicare i principi dell’economia circolare per cercare di dare nuova vita a questi capi d’abbigliamento.

Il problema del materiale inquinante però rimane: alla fine del suo ciclo di vita, lungo o breve che sia, la plastica deve essere smaltita e non essendo di origine naturale, finirà per inquinare.

La soluzione è dunque smettere di comprare in queste catene di negozi e preferire capi firmati o più costosi? Non lasciarti ingannare. Per fare la differenza, comprare vestiti costosi e firmati non è necessario. Piuttosto, occorre chiedersi se è davvero necessario comprare ulteriormente, leggere le etichette, e informarsi se esistono alternative più sostenibili sia per l’ambiente che per il proprio portafogli.  

Shopping low cost: perché ne siamo attratti/e?

Quante volte è capitato di comprare qualcosa, con il pensiero “tanto costa poco”?

Spesso accade di comprare per il gusto di farlo, perché ce lo possiamo permettere, in un certo senso. Ci sarebbe un motivo psicologico dietro: siamo portati a colmare carenze emotive (di qualsiasi tipo) con oggetti. Lo shopping sarebbe dunque una valvola di sfogo, un premio, una consolazione.

Alla luce di tutto ciò che abbiamo detto, siamo sicuri/e che risparmiare sui capi d’abbigliamento, dunque, conviene davvero? 

E tu, cosa ne pensi? Facci sapere la tua opinione sull’argomento nei nostri profili social!Per approfondire, ti consigliamo il documentario The True Cost, che esplora il mondo della fast fashion nel dettaglio.

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